ENTI DEL TERZO SETTORE FALLIBILI SOLO SE COMMERCIALI

Enti del Terzo settore e procedure applicabili in caso di crisi e insolvenza: un percorso definito solo in parte che richiederebbe uno spazio ad hoc, nell’applicazione delle norme del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Si tratta di disposizioni pensate per prevenire e gestire le situazioni di crisi e insolvenza del debitore, sia esso consumatore, professionista o imprenditore. Pensiamo alle procedure di composizione negoziata della crisi e di liquidazione giudiziale, al concordato preventivo e, da ultimo, a quelle da sovraindebitamento.

Ed è proprio in questo contesto che sono sorti dubbi in merito all’applicabilità o meno di tali misure alle realtà non profit del Terzo settore. Sul punto, infatti, il Codice del Terzo settore non contiene alcuna previsione specifica, mentre il D.lgs. 112/2017 prevede, in caso di insolvenza delle imprese sociali, l’assoggettabilità alla procedura di liquidazione coatta amministrativa.

Per comprendere il margine di operatività di tali procedure per gli Enti del Terzo settore, diversi dalle imprese sociali, occorre interpretare in via sistematica le norme contenute nel Codice della crisi d’impresa.

Anzitutto, nel perimetrare l’ambito applicativo delle disposizioni del Codice della crisi, l’articolo 1 fa esclusivo riferimento al debitore in qualità di imprenditore “che esercita, anche non a fini di lucro, un’attività commerciale operando come persona giuridica o altro ente collettivo”. Una simile formulazione sembrerebbe riguardare i soli Enti del Terzo settore commerciali, che svolgono cioè attività di interesse generale secondo il c.d. metodo economico. Vale a dire quelle realtà che svolgono la loro attività istituzionale secondo i criteri di economicità, professionalità e abitualità, operando sul mercato con modalità idonee alla remunerazione di fattori produttivi, seppur nel rispetto dei limiti previsti per le attività diverse. In tal senso, è lo stesso articolo 11 del Codice del Terzo settore ad ammettere la possibilità, per gli enti diversi dalle imprese sociali, di esercitare la propria attività in forma di impresa commerciale, subordinando tale possibilità all’iscrizione nel Registro delle imprese.

Una disposizione che si sposa con l’orientamento della Cassazione secondo cui lo status di “imprenditore commerciale” può essere assunto anche da enti di tipo associativo, purché svolgano, esclusivamente o prevalentemente, attività d’impresa (Cassazione civile 22955/2020).

Tutto ciò porta a concludere che gli Enti del Terzo settore che svolgono attività imprenditoriale, in quanto riconducibili nel concetto di “imprenditore commerciale”, potrebbero accedere a tutte le procedure del Codice della crisi (composizione negoziata della crisi, liquidazione giudiziale, concordato preventivo e sovraindebitamento).

Restano, tuttavia, da chiarire le procedure applicabili agli enti che non svolgono un’attività economica. Pensiamo agli enti che – in ossequio alle proprie finalità istituzionali – si limitano a raccogliere denaro e a erogarlo a fini di utilità sociale. Tali realtà potrebbero infatti essere escluse dall’ambito applicativo del Codice della crisi, stante la loro natura “non imprenditoriale”. Diversamente, si potrebbe ipotizzare la sola assoggettabilità alle procedure da sovraindebitamento, tenuto conto del fatto che queste ultime sono riservate a una categoria residuale di debitori, che, in base all’articolo 2 , comma 1, lettera c) del Codice della crisi, “non è assoggettabile a liquidazione giudiziale o coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal Codice civile o da leggi speciali”.

Ma, ragionando così, dovrebbe ulteriormente perimetrarsi, per tali categorie di Enti del Terzo settore, l’ambito applicativo di alcune procedure da sovraindebitamento. Ad esempio, sarebbe da escludere la fruibilità della ristrutturazione dei debiti (in quanto riservata alle persone fisiche) e del concordato minore (che richiede lo svolgimento di un’attività economica), restando al limite l’assoggettabilità alla sola liquidazione controllata, attivabile anche su impulso del creditore.

Un’occasione per sciogliere i dubbi interpretativi potrebbe presentarsi con il correttivo al Codice della crisi d’impresa che al momento è sottoposto al vaglio parlamentare.